Ass. Grupporiani

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Il XVIII secolo, al suo declinare, già aveva consacrato il successo e la fortuna delle marionette in Milano. E non soltanto per le antiche maschere della Commedia dell'Arte ma, soprattutto, per un nuovo curioso personaggio particolarmente gradito al pubblico milanese: Gerolamo della Crina. Le incerte notizie sulla sua nascita, in parte reali ed in parti fantastiche come per tutti i personaggi divenuti un mito, lo vogliono originario di di un paese dell'Astigiano, Caglianetto, verso la prima metà del Seicento, e intrattenitore di un vasto pubblico sulle piazze delle piccole città e dei villaggi. Nel Settecento è protagonista assoluto degli spettacoli del marionettista Sales a cui causò non pochi guai per l'omonimia con alcuni personaggi in carne ed ossa che vantavano nobili prosapie e parentele illustri. A Genova, infatti, il Sales fu invitato a lasciare la città poiché non era gradito al Doge Gerolamo Durazzo che una marionetta, sempre pronta a lanciare strali ai potenti e a strizzare l'occhio al pubblico sulle umane vicende, portasse il suo stesso nome. Trasferitosi a Torino, il marionettista e la sua celebre marionetta trovarono un'accoglienza altrettanto ostile; in un'epoca di dominazione francese non era gradito che in Borgo Doragrossa il pubblico si affollasse allegramente per assistere al dramma semi-serio dal titolo inequivocabile "Artabano tiranno universale, con Gerolamo suo fido scudiero". La chiara allusione a Napoleone Bonaparte, futuro imperatore, e al fratello Giuseppe, offrì il destro ai funzionari della Polizia per espellere marionette e marionettisti. La città di Milano, al contrario, accolse con calorosa cordialità questo buffo personaggio di legno che vestiva una livrea di taglio settecentesco color rosso scuro profilata di rosso chiaro, con cravatta bianca annodata, a metà fra il fazzoletto da collo di uso campestre ed una trascurata galla alla Vallière, calzava calze rosse e scarpe con grossa fibbia, portava in capo un cappello a lucerna di chiara moda illuminista e parlava una lingua che ricordava agli spettatori milanesi una terra libera ed indipendente: il Piemonte. Si muoveva e si dimenava in palcoscenico, portava le mani sui fianchi girando la testa ora verso i suoi interlocutori ora verso il pubblico e tracannava sulla scena un quintino di buon vino che un piccolo serbatoio occultato nella cavità superiore del corpo restituiva, una volta calata la telaChi dava vita al personaggio era questa volta il marionettista Giuseppe Fiando il quale presentò i suoi spettacoli dapprima in un locale situato in Piazza del Duomo presso l'Albergo del Dazio Grande e poi in uno stabile della Piazza dei Tribunali, l'odierna zona di Via Mercanti.

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