Il 30 settembre 1982 un reporter del Chicago Tribune telefona all’ufficio pubbliche relazioni della casa farmaceutica Johnson & Johnson per chiedere ragguagli su uno dei loro prodotti più famosi, il Tylenol, un comune analgesico da banco.

Questa fu solo la prima di una serie di incessanti telefonate che giunsero in quei giorni nella sede del colosso americano, nello specifico furono più di 2.500 le richieste inviate dai media di tutto il mondo. Ma cosa aveva scatenato tale improvviso interesse verso un prodotto così in uso? Diversi giornalisti aveva cominciato a indagare su un decesso avvenuto nell’area di Chicago che si diceva potesse essere collegato all’assunzione di Tylenol da parte della vittima.

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Nasce così il primo e più famoso caso di Crisis Management della storia. Alcune indagini fecero emergere delle falle nella produzione del farmaco, alcuni lotti risultarono essere avvelenati con del cianuro di potassio, causando la morte di sette persone, tra cui una minorenne. 

Il caso, oltre all’eccezionalità di cronaca, passò alla storia per la capacità della J&J di gestire l’improvvisa crisi che avrebbe di certo condotto a una perdita di credibilità della marca se non fosse stato gestito nella maniera corretta. 

La strategia messa in atto da J&J fu principalmente comunicativa, i vertici della casa farmaceutica si adoperarono per ritirare dal mercato tutti i lotti compromessi, partecipando a numerosi talk show e facendosi promotori di informazioni affidabili per il consumatore. Nell’arco di cinque mesi, il Tylenol recuperò il 70% della sua quota di mercato (che durante la crisi era scesa al 13%), recupero che raggiunse il 98% nel giro di qualche anno. Il numero verde istituito dalla marca per fornire informazioni ai consumatori venne contattato più di 250.000 volte, 136.000 nei primi 11 giorni dall’annuncio.

L’immagine dell’azienda ne uscì intatta, se non addirittura rafforzata: J&J fu in grado di presentarsi ai media e ai consumatori come una fonte di informazione tempestiva, accurata e affidabile.

Il caso Tylenol viene tuttora studiato nei manuali di comunicazione come primo e vincente esempio di risk management, grazie al ruolo fondamentale che giocò la comunicazione non solo dal punto di vista della strategia del brand, ma anche perchè permise la diffusione capillare di informazioni di qualità che evitarono di causare ulteriori vittime.

Che cos’è uno stato di crisi?

Dagli anni ‘80 la strada è stata lunga e ad oggi la comunicazione in tempi di crisi è divenuta una parte integrante delle strategie di aziende ed enti sia pubblici che privati. Luigi Norsa, professore di Crisis Communication presso l’Università IULM definisce con queste parole lo stato di crisi:

“Quando parliamo di crisi ci riferiamo ad una serie di situazioni molto diverse fra di loro, ma con degli aspetti comuni: un’enorme pressione sia sul lato emotivo che sul fronte temporale… perché comportano un’accelerazione improvvisa degli eventi, che richiede decisioni e azioni in tempi che sono inusuali per gli usi e le abitudini dell’azienda e del suo management”.

Possiamo dunque affermare che un’azienda, un ente o un’organizzazione si trova di fronte a uno stato di emergenza quando subisce le conseguenze di un evento o di un attacco, imprevedibile o semplicemente imprevisto, che crea gravi problemi  questi problemi diventano di pubblico dominio eccezionalità visibilità. I due fattori che caratterizzano le crisi sono infatti, l’eccezionalità dell’evento e la visibilità che lo porta al centro dell’opinione pubblica. Quest’ultima gioca un ruolo fondamentale nell’innescare il processo di crisi, infatti quando l’opinione pubblica prende conoscenza di un fatto che ritiene inaccettabile e a causa di ciò mette in discussione la fiducia nei confronti dell’Organizzazione si ha lo stato di emergenza.

Come si gestisce una crisi?

La risposta ad uno stato di crisi viene fornita dal Crisis Management, ovvero una strategia pensata per fronteggiare l’evento cercando di minimizzare i danni all’ente o all’azienda. Si tratta di una strategia complessa che chiama in causa la prevenzione, oltre che la gestione della crisi vera e propria.

Il Crisis Team è formato da figure altamente qualificate che hanno il compito di coordinare e guidare tutte le azioni che verranno messe in campo per fronteggiare l’evento, in particolare le attività di comunicazione. La comunicazione è senza dubbio lo strumento più importante per gestire lo stato di emergenza, dato che permette la gestione e il controllo degli effetti di una crisi, monitorando i rapporti di un’organizzazione con l’esterno.

Chiarezza e trasparenza dei messaggi sono le due chiavi di volta attorno cui costruire il piano di comunicazione di crisi, scegliendo sempre i canali di diffusione più appropriati e non sottovalutando la capacità di diffusione delle informazioni in canali meno convenzionali come applicazioni di messaggeria (Telegram, whatsapp).

Oltre alle comunicazioni esterne e ai rapporti con la stampa, non bisognerebbe in nessun modo sottovalutare l’importanza delle comunicazioni interne all’organizzazione. e’ necessario che ogni organo rappresentante dell’organizzazione sappia sempre cosa dire e cosa non dire, a prescindere dal suo ruolo.

Come diventare Crisis Communication Manager?

Questa figura professionale sta assumendo sempre maggiore centralità all’interno delle aziende e degli enti pubblici, basti pensare alla recente emergenza COVID che ha visto crescere la domanda di personale specializzato in comunicazione e PR per la gestione di profili social e pagine web dedicate all’informazione. Oggi i migliori corsi di formazione dedicati alla comunicazione digital comprendono moduli specifici di Crisis Management, come l’offerta formativa proposta da Slash School in comunicazione digitale che ti permetterà di conoscere e mettere in atto le migliori strategie social per fornire informazioni affidabili e di qualità in tempi di crisi.

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