Un tema di grande discussione negli ultimi anni è quello della Generazione Z, la nuova generazione che si sta affacciando ora nel mondo dell’istruzione terziaria e nel mercato del lavoro. Ma qual è la percezione di questi ragazzi verso il settore professionale? La docente Claire Jollain si è rivolta ai suoi studenti per avere delle risposte.

La professoressa Claire Jollain ha lanciato nel 2019 un progetto didattico che ha coinvolto numerosi studenti degli istituti Swiss Group. Dopo uno studio dei materiali sociologici dedicati alla Generation Z che comprende i nati tra il 1997 e il 2012, gli studenti hanno deciso di aprire un blog dove raccontare la loro visione del mondo e le difficoltà incontrate nel relazionarsi con il mercato del lavoro.

Ogni studente propone un articolo da pubblicare, ma solo i migliori vengono mandati online, il blog contiene ad oggi più di 50 post scritti da studenti di bachelor e master di 27 paesi diversi. Riassumiamo in questo articolo tutto quello che abbiamo imparato dalla preziosa testimonianza degli studenti di Swiss Group.

Non piacciono al mondo

La prima conclusione a cui sono giunti gli studenti non è certo incoraggiante: nella maggior parte degli studi sulla generazione Z consultati, giungono a conclusioni negative: i giovani d’oggi vengono spesso descritti come asociali, dipendenti dalla tecnologia e pigri. La visione emersa dagli insegnanti non è certo più incoraggiante: hanno infatti evidenziato la scarsa capacità nel prendere appunti e creare mappe concettuali delle lezioni, infine i recruiter criticano la loro mancanza di professionalità e i responsabili pensano che non siano dei gran lavoratori. 

La docente Claire Jollain esprime grande sconforto per il risultato di queste ricerche: “sono davvero infastidita, mi chiedo se sia davvero questo il modo giusto di accogliere una nuova generazione che dovrà risolvere problemi drammatici come il cambiamento climatico”.

Certamente gli  studenti di oggi sono più avvezzi all’utilizzo di nuove tecnologie e temono di dover rimanere troppo a lungo senza wifi, ma è anche vero che preferiscono di gran lunga la comunicazione faccia a faccia all’invio di e mail.

Emerge poi un secondo tema molto importante, i ragazzi sono molto spaventati dal futuro e sottolineano come per loro sia una priorità poter trovare un lavoro soddisfacente. Quando leggono commenti sulla loro mancanza di professionalità, replicano mettendo in dubbio quella delle aziende che non rispondono alle domande sulla disponibilità delle posizioni, o che non forniscono un feedback dopo un colloquio di lavoro. Come possiamo chiedere loro di mettere in pratica certe cortesie quando le aziende stesse non lo fanno?

Interessante la testimonianza di Lynn che nel suo articolo ha espresso il suo sdegno: “Non capiamo come alcune aziende valutino le persone sulla base di un pezzo di carta! Per me, è come giudicare il libro dalla copertina – e sappiamo tutti che non dovremmo”.

Sono alla ricerca di un senso ovunque

Bombardiamo i nostri ragazzi di informazioni, ma la loro soglia di attenzione è inferiore ai 10 secondi. Questo non significa avere uno scarso interesse, ma una grande capacità di filtrare le informazioni significative per dare un senso a tutto.

Caroline, una studentessa che ha preso parte spiega che la sua generazione semplicemente pensa e assorbe le informazioni in modo diverso: “Solo perché preferiamo ascoltare le notizie da un video veloce piuttosto che da un giornale, non significa che non abbiamo capacità di attenzione, così come indossare i jeans in ufficio piuttosto che un completo non rende i Millennials pigri”.

In effetti, il mondo della comunicazione si è evoluto negli ultimi anni divenendo saturo di dati e informazioni trasmesse, i ragazzi imparano sin da giovanissimi a ordinare attraverso tutti questi dati, fare delle scelte, capire cosa è importante e cosa è meno importante. Josefin sottolinea come sia necessaria una guida per utilizzare al meglio questa tecnologia che è stata creata da altri. Loro sono semplici consumatori, ma non sempre hanno ricevuto una vera e propria educazione a tal proposito: “La generazione Z ha bisogno di una guida che li aiuti a trovare i propri valori e a non perdersi per strada. Hanno bisogno di modelli di ruolo. Le vecchie generazioni sono responsabili di aiutarli sulla loro strada verso il successo”.

Cambiano anche le prospettive professionali: ciò che conta davvero è “essere riconosciuti a apprezzati”, spiega Joao. “Non vogliamo lavorare per grandi aziende, non vogliamo essere un numero. Apprezziamo i piccoli ambienti dove tutti si conoscono e dove la voce di tutti ha un impatto sul processo decisionale generale”. Una priorità per i ragazzi è l’auto-realizzazione, non amano chi impone loro le scelte da fare, preferiscono provare e fallire con le proprie gambe: “La Gen Z vuole fare ciò che ritiene giusto. Questo non significa che non siamo disposti a cambiare in base al feedback che riceviamo. Al contrario, vogliamo essere in grado di fallire e vedere i nostri errori per capire davvero perché stiamo facendo le cose in un certo modo. Quando impariamo qualcosa e questo viene riconosciuto, abbiamo una sensazione di realizzazione che porta ad una maggiore produttività personale”.

La generazione Z è alla ricerca di leader, apprezza ruoli manageriali in grado di guidare e ispirare e apprezza molto lo sforzo compiuto dagli insegnanti. In particolare guardano con grande interesse all’esperienza pratica, spiega Linda. “Immaginate un medico. Direste che sa come eseguire un intervento chirurgico se l’ha solo letto sui libri? Probabilmente no. Ecco perché ho voluto fare esperienza pratica durante i miei studi”.

Sono ambivalenti

La referente del progetto si dice molto sorpresa dall’ambivalenza della Generazione Z: ragazzi molto sicuri di sé, credono che il mondo di domani sarà molto diverso, e che loro saranno gli unici in grado di navigare in questo nuovo ambiente. 

Allo stesso tempo sono pieni di insicurezze e paure riguardo i grandi temi sociali dell’oggi: terrorismo, cambiamento climatico e all’instabilità economica, e allo stato del mondo che è stato lasciato a loro da risolvere dalle generazioni precedenti. Come dice Ankita: “La mia generazione è aggiornata su tutte le notizie dal mondo; abbiamo visto e sentito della crisi economica e degli animali in pericolo. Siamo una generazione che si preoccupa davvero della sostenibilità, perché potrebbe non rimanere molto quando avremo figli o nipoti”.

La tecnologia è un mezzo, non un fine

Utilizzano molto la tecnologia e ne sono affascinati, intravedono in essa un grande potenziale per rendere il mondo più accessibile e democratico. Come sottolinea Tawfiq: “Sono uno studente giordano che studia in Svizzera e cerco opportunità di stage in Nord America. 20 anni fa, questo sarebbe stato impossibile”.

Rifiutano la versione secondo cui lo schermo rappresenterebbe una barriera che isola e divide, piuttosto preferiscono sottolinearne le capacità di unione e di messa in comunicazione. Non è solo Tariq a sentirsi così, tutti gli studenti che hanno scritto questi post sul blog hanno rifiutato di essere definiti solo a causa del loro accesso, conoscenza o dipendenza dalla tecnologia. Come dice Jervis, la tecnologia è un mezzo per andare oltre, più velocemente e meglio! “La nostra generazione è affamata di miglioramento e guidata dalla curiosità.

Le vecchie generazioni potrebbero mettere in luce la mancanza di pazienza della Gen Z e vederli passare da una tendenza all’altra, ma come ha sottolineato Mitsue, lei è nata in un mondo che è in costante movimento e cambiamento. “So che vogliamo tutto e subito, ma questo è ciò a cui siamo abituati. Per noi tutto accade velocemente e tutto è nelle nostre mani.

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