Alzi la mano chi crede che la psicomotricità viene prescritta solo ai bambini con disturbi motori, disabilità o per i bimbi molto vivaci che fanno fatica a concentrarsi. Come sempre, per fare chiarezza su questa disciplina andiamo a  sentire cosa ci dicono dei veri esperti. Abbiamo chiesto alla dott.ssa Serena Mestre del Centro di formazione Nonsolotata Consulting,  di speigarci perché la psicomotrà ha acquistato sempre maggior peso negli ultimi anni.

Si sente parlare sempre di più di psicomotricità, in che cosa consiste questa disciplina? A chi è rivolta e a che cosa serve?

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La psicomotricità è una pratica, un percorso che aiuta i bambini a sperimentarsi con i coetanei e con l’adulto attraverso il gioco, è un percorso di maturazione che favorisce il passaggio dal piacere di agire al piacere di pensare e rassicura il bambino nei confronti delle proprie angosce.

Gioco sensomotorio, gioco come scoperta della propria corporeità, gioco creativo e simbolico, dove il bambino ha la possibilità di identificare nell’adulto l’oggetto pronto ad interagire con lui per appagare le sue fantasie, gioco in cui poter esprimere le proprie emozioni, i sogni e le fantasie in modo libero e spontaneo.

L’utilizzo di materiali semplici ma altamente simbolici (palle – palloni – cerchi – corde – teli – cuscini – scatoloni  – carta – colori  – moduli in gomma – musica ecc…) permette il coinvolgimento del bambino e la sua libera espressione attraverso posture, gesti e linguaggio corporeo.

Quali potrebbero essere due valide ragioni per promuovere questa terapia, ancora poco diffusa in Italia, è possibile misurare gli effetti?

La psicomotricità favorisce lo sviluppo psicologico del bambino attraverso l’azione educativa interattiva partendo dal piacere di agire.

Nel ‘setting’ che si crea ogni volta che il gruppo di psicomotricità si incontra,  lo psicomotricista ha il compito di accogliere e leggere il vissuto emotivo che il bambino racconta col suo gioco, per poi restituirglielo in forma ri-elaborata e ‘corretta’ nella relazione  che intesse con lui.

In tal modo è possibile garantirgli quelle esperienze che sono necessarie allo sviluppo armonico della sua personalità ma soprattutto è possibile prevenire i disagi propri dell’età evolutiva, a livello psico-affettivo cognitivo e intellettuale. Nei casi di bambini con difficoltà neuro e psicofisiche la neuro-psicomotricità interviene sostenendo il processo di rassicurazione rispetto alle angosce e accompagnando il bambino nel suo personale percorso evolutivo.

In Francia si sente parlare di questa disciplina dagli anni 60’, in Italia invece è sbarcata con quasi vent’anni di ritardo, come mai ha tardato più tempo ad attecchire nella psico-pedagogia nostrana?

La psicomotricità come disciplina educativa, preventiva e terapeutica si sviluppa a cavallo degli anni ’60-70 da un filone del panorama medico scientifico della prima metà del ‘900, in seguito, con il contributo di altre discipline – fisiologia, neurologia, psicologia, psicoanalisi, linguistica, attività motorie – si supererà il dualismo mente-corpo a favore della visione della persona intesa come globalità somatopsichica. Quindi dalle tradizioni bio-medica  e pedagogico-educativa, una volta distranti tra loro, si è originata la disciplina della neuro e psicomotricità e, in Italia, sarà  proprio l’apporto della Psicologia  – il cui massimo momento di affermazione è avvenuto negli anni ’80 – a dare una maggiore visibilità, ad arricchire il ventaglio riabilitativo con  le Scienze della Riabilitazione di cui la psicomotricità  è il caposaldo.

Per quale motivo questa disciplina ha più efficacia nei bambini piuttosto che negli adulti?

La psicomotricità privilegia i bambini nella loro prima età  fatta di agire prima del pensare dal momento che il bambino si percepisce attraverso le esperienze che fa con il suo corpo, sarà solo entro i primi anni che scoprirà il simbolo come sostituto del reale e potrà  pensare le azioni e le esperienze anche in assenza del vissuto corporeo, cioè il pensare al di là dell’agire, approssimativamente entro i sette anni. Questo non preclude la possibilità di vivere l’esperienza psicomotoria in età adulta all’interno del contesto delle tecniche psicoterapeutiche.

La psicomotricità è una disciplina che può essere condotta solo da personale qualificato, o può anche essere svolta dagli stessi genitori?

Lo psicomotricista è uno specialista dell’aiuto alla maturazione psicologica del bambino tramite la via dell’espressività motoria; è in possesso di una formazione specifica negli ambiti dell’età evolutiva e di una formazione personale nella comunicazione non verbale e nella comunicazione attraverso il corpo. Solitamente questo è un percorso utile ad operatori che lavorano in ambito educativo-ricreativo con i bambini quali psicologi, pedagogisti, educatori, insegnanti delle discipline sportive, maestre, ecc…

La psicomotricità può essere altrettanto utile al genitore, con valenza sicuramente diversa in quanto la relazione che si intesse con il bambino rispetto a quella del professionista è diversa. L’esperienza psicomotoria aiuta il genitore ad acquistare fiducia in sé stesso, ad utilizzare il linguaggio del corpo (non verbale), a confrontarsi mettendosi in discussione in prima persona e migliorando la consapevolezza di sé stesso sia come persona che come figura genitoriale.

Qual è il percorso di studio che bisogna seguire per poterla praticare adeguatamente? E visto il gran numero di offerta formativa nel settore, come si può distinguere tra una qualitativamente all’altezza e una invece no?

Attualmente nel nostro territorio sono presenti due filoni di studio che vedono la formazione in Psicomotricità a indirizzo educativo (spendibile in contesti scolastici e preventivi) attraverso scuole private di formazione e il percorso di laurea universitaria – di medicina e chirurgia – in Terapista della neuro e psicomotricità  dell’età evolutiva (indirizzato a contesti sociosanitari quali le èquipe multidisciplinari della Neuropsichiatria infantile e altri ambiti dell’area pediatrica).

I percorsi formativi privati devono essere organizzati da enti di formazione che rilasciano un attestato di partecipazione con l’indicazione delle ore formative svolte e condotti da un professionista in possesso della Laurea aibilitante e con Specializzazione in Psicomotricità Relazionale ad indirizzo psicodinamico, oltrechè di un sensibile repertorio esperienziale. Solitamente l’esperienza formativa si organizzano a step: percorso base e avanzato, in modo da fornire una preparazione completa.

È da preferire un percorso pratico ad uno teorico, strutturato in stage e verbalizzazioni in quanto, soprattutto per questa disciplina in cui l’utilizzo del corpo è fondamentale, i corsisti hanno la possibilità di concretizzare immediatamente nel loro ambito lavorativo le competenze acquisite durante il corso.

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