“La famiglia non è solo Dna. E’ sentimento”.

Ha superato il milione e mezzo di visualizzazioni il filmato realizzato da Casa Surace sui pregiudizi legati all’adozione di bambini stranieri, ispirato a una ricerca universitaria promossa da ItaliaAdozioni. Alla ricerca ha partecipato anche il Centro Studi Interculturali (Dipartimento di Scienze Umane) dell’Università degli Studi di Verona, attraverso il gruppo di studio sul Giornalismo Interculturale.

Master Universitario in Intercultural Competence and Management
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GIORNALISMO INTERCULTURALE, MEDIA RELATIONS E VIDEO-GIORNALISMO EUROPEO
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ItaliaAdozioni è un’associazione no-profit che si occupa di cultura dell’adozione e dell’affido. Ha realizzato il video, che dura 3’46”, affidandosi alla casa di produzione cinematografica campana, Casa Surace, e grazie al contributo di BCC Milano, Fondazione Cariplo e Cattolica Assicurazioni.

Il video è subito diventato virale. E merita di essere visto dai giovani e dal mondo universitario. Come tutti i video virali tocca in modo ironico e rapido gli stereotipi e i pregiudizi – “lo dico da padre adottivo, oltre che da studioso dei media e della comunicazione”, afferma l’autore – che accompagnano le famiglie adottive che incontrano altre persone, dopo aver adottato all’estero.

La “diversità” che la famiglia adottiva rappresenta suscita ammirazione (“che bravi, che siete stati!”), stupore (il minore dai tratti somatici differenti rispetto ai genitori), commozione (come se l’adozione fosse un atto di misericordia). Ma suscita anche espressioni che, seppure in buona fede, rivelano un certo pregiudizio etnico; se non addirittura forme di razzismo strisciante.

Il filmato dello studio cinematografico e televisivo Casa Surace mi ha ricordato il tema della rappresentazione dei migranti sui media, di cui ho iniziato a occuparmi – con ricerche universitarie in ambito pedagogico – nel 1998. Forse per questo, il filmato prodotto da ItaliaAdozioni ha raccolto migliaia di commenti.

Media, adozione di minori e diversità: stereotipi e pregiudizi

Da oltre vent’anni Maurizio Corte, docente presso l’Università, si occupa del tema “media e immigrazione”, su cui ha scritto tre testi universitari. L’ultimo è sul Giornalismo Interculturale. L’autore ha così avuto modo di fare ricerca e di riflettere a lungo sui pregiudizi e gli stereotipi che i media mettono in campo quando si parla di diversità culturale.

Quali sono i pregiudizi e gli stereotipi enfatizzati, con l’uso dell’ironia, dal video di Casa Surace, quando si parla di adozione internazionale di minori? Eccoli:

  • un figlio biologico deve essere tale e quale al padre,
  • un figlio che ha tratti somatici diversi dai genitori disorienta,
  • l’adottare un bambino come “opera di misericordia”, come forma di carità,
  • l’essere un figlio biologico un “figlio vero” (per cui solo i genitori biologici sono “genitori veri”),
  • l’adozione di bambini come regalo che si compra e che si sceglie secondo i propri gusti e necessità,
  • il “colore della pelle” del figlio adottato, da schiarire per renderla più consona al colore della pelle dei genitori e della società attorno,
  • la credenza che un bambino (o bambina) in adozione non possa sapere l’italiano, per cui il suo essere comunque “straniero”,
  • il “voler bene” – come atto misericordioso – verso uno “straniero” che viene da fuori e quindi va compatito,
  • la fortuna di aver trovato un figlio adottivo che ha imparato in fretta, perché gli stranieri non imparano le altre lingue,
  • l’essere un figlio straniero comunque “straniero” (non puoi essere italiano che per discendenza biologica),
  • l’immutabilità dell’identità dello “straniero” (brasiliano è, brasiliano rimane),
  • il ricondurre una certa abilità o competenza (saper giocare al calcio) all’etnia,
  • la trasmissione per via genetica, ereditaria, biologica delle competenze e dei talenti,
  • l’adozione è solo di bambini e bambine stranieri, gli unici ad aver bisogno di essere adottati,
  • l’adozione come “bisogno” e non come scelta libera e consapevole,
  • il collocare la provenienza dei bambini e bambine adottati in “zone inferiori” della Terra: Africa, Sud America, ovvero nei luoghi di un “Terzo Mondo”,
  • il non essere un bambino o bambina adottati figli “veri” come quelli dei genitori biologici,
  • il ribaltare un pregiudizio (“come il padre, uguale”) quando fa comodo alle proprie convinzioni e il non accettare la smentita dei propri giudizi erronei.

L’idea di fondo di quei pregiudizi è che l’identità sia un monolite, qualcosa di immutabile che si trasmette per via ereditaria, attraverso il Dna. L’identità come un monolite, da trasmettersi per via di sangue. La cultura come un fossile, un qualcosa di immutabile e di folcloristico. La compassione verso il bambino o l’anziano o il malato straniero, ma la criminalizzazione o il mero uso economico della persona migrante.

Sono queste alcune delle caratteristiche che emergono sulla rappresentazione dei cittadini stranieri nei media italiani. Vi è una riduzione ad “oggetto” dello “straniero”: oggetto economico, quando lo si usa per lavorare nei campi o in fabbrica; oggetto sportivo quando lo si vede, con la pelle nera, vincere nelle competizioni sportive.

Lo “straniero” non ha poi diritto di parola nei media. È un pericolo, una minaccia. Viene visto come massa indistinta, come folla che preme alle frontiere marine e che sbarca invadendoci.

Il risultato è un incasellare l’Altro straniero in categorie statiche, che non possono cambiare. Il ridurlo di valore, lo sminuirlo e, di conseguenza, l’usarlo a poco prezzo per i propri fini. Dietro il pregiudizio etnico e il razzismo, infatti, vi sono gli interessi economici. Oltre il limite di pensiero e di apertura mentale della persona affetta da pregiudizio e da razzismo, vi sono gli affari. Il business. Un giro colossale di denaro.

Nel caso della ricerca universitaria IconA, promossa da ItaliaAdozioni e a cui ha partecipato il Centro Studi Interculturali dell’Università degli Studi di Verona, si è trattato il tema della rappresentazione che gli italiani si fanno quando si parla di adozione di bambini. Il video di Casa Surace, frutto virale e declinato con il linguaggio dei filmati popolari, apre un dibattito. Starà poi agli studiosi, agli esperti, alle persona di buona volontà tematizzare stereotipi e pregiudizi in tema di “diversità”.

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Maurizio Corte
Docente di Giornalismo Interculturale e Media Relations nel Master in “Intercultural Competence and Management – Mediazione interculturale, comunicazione e gestione dei conflitti”

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